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Ven, Apr

Don ZegaMilano, 7 gennaio 2010, ore 16.00. Era appena tornato da un breve viaggio in Medio Oriente. “Volevo un po’ di sole”, diceva. È morto alla vigilia dell’Epifania, la manifestazione di Gesù ai Magi, re e sapienti venuti dall’Oriente. Ora, questa epifania di Dio, don Zega la contempla direttamente in Paradiso, in tutta la sua pienezza e il suo splendore.

Con i “Colloqui col padre”, che era il suo pulpito settimanale sulle pagine di Famiglia Cristiana, don Zega ha raccolto le “confessioni” e le lacrime di migliaia di lettori: mamme, papà, giovani, alle prese con i problemi della vita e della famiglia. Per tutti aveva la parola giusta. Con chiarezza e garbo, frutto delle sua grande esperienza ma, anche, della dimestichezza col Vangelo, da cui attingeva ispirazione. Sempre vicino ai problemi della gente, di cui prendeva le difese e vi si immedesimava. Ai potenti, tutti, non le mandava a dire, sempre con evangelica franchezza.

Ora, però, siamo noi a chiedere d’essere consolati per questa grave perdita: imprevista e improvvisa. Anche se la liturgia ci rassicura dicendoci che “se ci rattrista l’idea di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura”, confessiamo che oggi il dolore è grande. E la perdita ancor di più. Tutto è precipitato nel volgere di poche ore. Il cuore che, già in passato, aveva fatto le bizze, prima con un infarto, più di recente bisognoso di tre by pass, alla fine non ha più retto.

Eppure, don Zega non ha mollato fino all’ultimo. Anche la mattina del giorno in cui è morto, pur se indisposto, è voluto andare lo stesso in ufficio. È morto sul campo, consunto dalla passione per la missione paolina. Come uno dei più fedeli interpreti di don Alberione, nostro Fondatore. Ha amato il sacerdozio, la Congregazione e la Chiesa fino alla “follia”. Quella sana e santa follia, che distingue i grandi uomini. Come lui era.

Non era un “prete ribelle”, come l’ha definito qualche giornale. Era un prete e basta. Prete giornalista, grande comunicatore. Si sentiva “libero e fedele in Cristo”, come amava dire, riprendendo l’espressione di padre Haering, il grande teologo che per anni ha scritto su Famiglia Cristiana.

Don Zega ha sofferto per la Chiesa, e questo ogni prete lo mette in conto. Ma lui ha sofferto anche dalla Chiesa, che non sempre gli ha mostrato il volto più materno e misericordioso. Come capita spesso per i profeti. E don Zega era un “profeta dei nostri tempi”. Perché ha saputo cogliere i “segni dei tempi”, anticipando sul giornale il dibattito su temi personali e sociali, che altrove erano tabù. Nella Chiesa e nella stessa società. Ha dato voce a tutti, facendosi interprete delle aspirazioni dei lettori, e anche delle loro miserie.

Ha dato orgoglio e grande dignità a tutta la stampa cattolica. L’ha fatta uscire dai recinti ecclesiali, accettando le sfide del mondo e della comunicazione. Fino in fondo. Ha saputo comunicare con grande professionalità, fedele all’insegnamento dell’Alberione di “parlare di tutto cristianamente”. E di “fare bene il bene”. Ha trasformato il giornale in una “parrocchia di carta”. Ha messo l’impresa editoriale al servizio del Vangelo. È stato un grande manager. Ma del Vangelo e della Parola di Dio. Ha fatto di Famiglia Cristiana la bandiera della Chiesa italiana, cui anche i laici guardano con grande rispetto.

Al compimento dei suoi 80 anni, amici e familiari hanno voluto festeggiarlo in grande. In quella occasione, poco tempo dopo l’intervento subito al cuore, ha tracciato il bilancio della sua vita. Ci ha lasciato, a voce, un piccolo “testamento spirituale”, di cui voglio citare qualche passo.

“Non credo di avere crediti nei confronti di nessuno”, diceva. “Ho pochissimo di cui vantarmi e moltissimo di cui pentirmi. Lo dico proprio con assoluta sincerità davanti a Dio. Oggi, ci troviamo per ringraziare il Signore. L’anno scorso non ero convinto che ci sarei stato. Sono passato attraverso giorni infernali. E ne sono uscito vivo. Non sono di quelli che dicono “quanto è bello morire”. Finché ci siamo, viviamo. Viviamo la vita nella maniera più intensa possibile. La vita bisogna amarla in tutte le sue manifestazioni. E anche questa sorta di risurrezione ha un suo senso, qualcosa vorrà dire”.

“Spesso - continuava don Zega - ci chiediamo: chissà com’è Dio? Non bisogna parlare di Dio in maniera facilona. Ma se immaginiamo il volto di Dio in controluce al volto di Cristo, tutto diventa più facile. Quando i discepoli sono turbati dal discorso d’addio di Gesù, lui dice loro una cosa semplice: credete in Dio e in me. Fidatevi di Dio e di me. Guardate quello che ho fatto e anche voi fate lo stesso.
Niente belle parole. Solo l’esempio. Fatevi miei imitatori, dice Gesù. Ed è per questo che noi siamo preti: per dire agli uomini la tenerezza di Dio. Tutto il resto è secondario. Dio ci vuole bene veramente. E se riusciamo a trasferire questo messaggio alle persone, siamo andati alla sostanza della nostra missione”.

“Ai miei confratelli ho spesso detto: regole e orari sono cose troppo piccole per spenderci una vita. Se riusciamo, invece, a far percepire l'amore di Dio, possiamo essere sereni davanti al tribunale di Dio. E possiamo dire che non abbiamo sprecato la nostra vita”.

“Se posso dire d’aver amato qualcosa - concludeva don Zega - è stato il contatto diretto che ho tenuto, per molti anni, con i lettori. Ho cercato di defilarmi, per far parlare il Vangelo, per far parlare la gente: ascoltarla, sentirla, darle spazio e voce. Senza pretendere di insegnare nulla a nessuno. Perché uno solo è il vostro Maestro, Gesù Cristo. Così è scritto nei Vangeli”.

Con queste parole, ora, caro don Zega, tu ci lasci. Vai ad Alba, il cuore della San Paolo, dove vuoi essere sepolto accanto a don Zilli, con cui hai condiviso la meravigliosa avventura di Famiglia Cristiana. Sei stato per me, e per i tanti cresciuti alla tua scuola, un maestro di vita e di giornalismo. Ci hai insegnato a stare a testa alta e a tenere la schiena dritta. Ricorderemo la lezione. Ora non abbandonarci. Da lassù, siamo certi, che continuerai a vegliare. E anche a riprenderci, come sapevi fare tu. Col tuo carattere brusco, ma con quel tuo cuore grande, immenso. E la generosità senza limiti.

Nel tuo ultimo editoriale su Vivere in Armonia, hai scritto: “Il domani sarà quello che oggi noi vogliamo e costruiamo con le nostre mani”.

Aiutaci a costruire un futuro migliore. Per tutti. Grazie di quanto ci hai dato. Riposa in pace, carissimo don Zega.

 

Agenda Paolina

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Feria (bianco)
At 13,26-33; Sal 2; Gv 14,1-6

26 Aprile 2024

* Nessun evento particolare.

26 Aprile 2024SSP: Ch. Stefano Bernardi (1931) - D. Francesco Santacaterina (1941) - D. Vincenzo Testi (1978) - D. Ernesto Luchino (1993) - Fr. Giulio Dell’Arciprete (2002) - D. Francesco Mirti (2006) • FSP: Sr. M. Paola Morbini (1983) - Sr. Emerenziana Costa (1988) - Sr. M. Loreta Gioacchini (2007) - Sr. Bianca M. Horii (2021) • PD: Nov. Giuseppina Cauli (1960) - Sr. M. Cleofe Piscitello (1996) - Sr. M. Santina Ferreyra (1997) - Sr. M. Francisca Marchegiani (2014) - Sr. M. Judith Mascarenhas (2019) • IMSA: Rita Lombardi (2017) - Adélia da Costa Pereira da Silva (2020) - Adelia Accossu (2021).

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26 Aprile 2024

Essere fedeli a Gesù osservando i consigli evangelici di perfezione che ci ha dato; essergli fedeli osservando i santi comandamenti; essergli fedeli ricevendo bene i sacramenti che sono i mezzi di grazia, i mezzi con cui la vita di Gesù Cristo è partecipata all’anima, all’uomo (APD56, 257).

26 Aprile 2024

Hay que ser fieles a Jesús observando los consejos evangélicos de perfección que él nos ha dado; ser fieles a él guardando los santos mandamientos; ser fieles a él recibiendo bien los sacramentos que son los medios de la gracia, los medios por los que la vida de Jesucristo se comparte con el alma, con el hombre (APD56, 257).

26 Aprile 2024

Be faithful to Jesus by observing the evangelical counsels of perfection that he has given us; be faithful to him by keeping the holy commandments; be faithful to him by receiving well the sacraments which are the means of grace, the means by which the life of Jesus Christ is shared in the soul, shared to man (APD56, 257).