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“Conoscere e vivere integralmente Gesù Cristo Maestro e annunciarlo a tutti” è l'essenza del carisma paolino, trasmessoci dal nostro fondatore, il beato don Giacomo Alberione; anzi, sappiamo che lui non voleva neppure essere chiamato o considerato “il fondatore”, perché, ripeteva, il nostro fondatore è solo san Paolo che continua oggi la sua missione di vivere e annunciare Cristo morto per noi tutti ma poi risorto, ed ora universalmente operante.

È quindi un “progetto universale”, un “progetto inarrestabile”, una vera “missione carismatica” questa che hanno tutti i figli e le figlie spirituali del beato Alberione nella Chiesa e nell'intera società umana: “Conoscere e vivere integralmente Gesù Cristo Maestro e annunciarlo a tutti”. Mentre tanti Istituti o Congregazioni hanno aiutato e aiutano il popolo di Dio a prendere coscienza di alcuni aspetti della ricca anzi divina personalità di Gesù Cristo, la Famiglia Paolina voluta dal beato Alberione ha la ”missione carismatica” di vivere e annunciare Gesù Cristo totale, integrale, Lui che si è definito “Maestro, Via e Verità e Vita” dell'umanità.

La visione carismatica di don Alberione – visione grande come il suo cuore o come il cuore di san Paolo – non poteva però limitarsi a poche categorie di persone: poiché abbiamo tutti un medesimo Padre e siamo stati redenti dal medesimo suo Figlio, siamo tutti chiamati a cooperare alla realizzazione del suo progetto di amore. Come san Paolo, anche don Alberione ha compreso come il suo contributo per l'evangelizzazione non poteva non avvalersi anche della collaborazione dei fedeli laici; anzi, non solo non poteva non avvalersi, ma doveva necessariamente avvalersi di essi.

«I fedeli, e più precisamente i laici – scriveva Pio XII già il 20 febbraio 1946 in un discorso ai nuovi cardinali – si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana. Perciò essi, specialmente essi, debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra sotto la condotta del Capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono la Chiesa...», per cui essi non potrebbero staccarsi o non operare per il consolidamento e la crescita di essa: è una questione di necessità vitale.

Secondo l'immagine biblica della vigna, i fedeli laici, come tutti quanti i membri della Chiesa, sono tralci radicati in Cristo, la vera vite, da Lui resi vivi e vivificanti. Da qui la visione profonda e programmatica maturata nell'animo di don Alberione, che ricaviamo anche da un testo, rielaborato, di una meditazione ai Cooperatori Paolini del 6 dicembre 1954:

«Il “cooperatore paolino”:

  1. attende alla sua maggiore santificazione secondo il proprio stato, nella sequela di Gesù, Divino Maestro Via e Verità e Vita, sotto lo sguardo di Maria Regina degli Apostoli e nello spirito di san Paolo;
  2. legge, medita, vive e diffonde il Vangelo;
  3. ha il sentire di Cristo: conosce, crede, ama come Lui;
  4. proclama e testimonia come san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me;
  5. vive l'Eucaristia e riversa l'amore ricevuto in ogni forma di attività apostolica
  6. si distingue per un profondo amore alla Chiesa: vive gli impegni della sua comunità cristiana;
  7. è in unione di mente e di cuore con la Famiglia Paolina, con la quale prega, offre, collabora;
  8. attento ai segni dei tempi, fa giungere a tutti la Parola di luce e di verità con gli strumenti della comunicazione sociale;
  9. come Maria, Regina degli Apostoli e prima Cooperatrice della Redenzione, dà al mondo il Figlio Gesù Cristo Via e Verità e Vita, Maestro e Pastore;
  10. in intima unione con Cristo, affronta con coraggio e speranza, come san Paolo, i sacrifici della missione».

Sappiamo che don Alberione aveva maturato queste convinzioni fin dall'inizio delle sue fondazioni: anzi, oltre che alla illuminata guida del suo padre spirituale, il venerabile Canonico Francesco Chiesa, egli si affidava molto a persone pie, a laici e laiche ai quali chiedeva non solo sostegni materiali, ma soprattutto quelli spirituali, fino anche all'offerta della loro vita per la missione che il Signore gli chiedeva di avviare. Lo stesso don Alberione testimonierà: «Vi furono più persone che si offersero vittime per il buon risultato dell’Istituto; di alcune il Signore accettò l’offerta. I chierici del Seminario di Alba, pur non conoscendo precisamente di quanto si trattava, dal 1910 ogni giorno offersero le intenzioni del loro Direttore Spirituale (appunto don Alberione); e, scoppiata la guerra 1915, ancora dal fronte rinnovavano la loro offerta, accompagnata pure dall’offerta della loro vita sempre esposta ai pericoli: qualcuno morì al fronte, o per malattia là contratta. Tra le persone di cui il Signore accettò l’offerta della vita, come si può giudicare umanamente: i chierici Borello, Fanteguzzi; i sacerdoti Saffirio, Destefanis, Villari. Si possono ricordare con Maggiorino Vigolungo alcuni altri della Pia Società San Paolo. Si può ricordare la Cavazza-Vitali con un gruppo di Figlie, dalla Calliano in avanti». Pertanto don Alberione attesta esplicitamente: «Le famiglie paoline sono il risultato di innumerevoli sacrifici, preghiere, offerte: di molti anni» (cfr AD 161-162).

Oltre alle “donazioni di vita”, Don Alberione seppe suscitare intorno alla sua opera le più impensate ed ardite forme di cooperazione. Sia dalle pagine del primo bollettino: Unione dei Cooperatori della Buona Stampa (ora appunto Il cooperatore paolino), sia sulla rivista Vita Pastorale, egli confidava i suoi progetti tanto ai laici come ai sacerdoti. Le risposte furono generose e diverse. Possiamo affermare che davvero la creatività del nostro Fondatore emulò quella di san Paolo, e basterebbe sfogliare il volume La primavera paolina – che riproduce i testi del bollettino dei Cooperatori (1918-1927) – per rendersene conto: anticipò di molti anni quella che papa Giovanni Paolo II chiamerà “la fantasia della carità” (NMI, 50).

Indubbiamente, per don Alberione la prima e più sollecitata cooperazione fu quella spirituale. Egli, autentico uomo di Dio, era convinto che senza l’aiuto dello Spirito non sarebbe arrivato molto lontano. Ebbe pure l’aiuto delle vocazioni. Sono moltissimi i paolini e le paoline della prima ora che debbono il loro arrivo a “San Paolo” - come si diceva allora – grazie ai cooperatori e alle cooperatrici che li indirizzarono lì.

Nel gennaio 1927, don Alberione affida ai Cooperatori «un nuovo campo di lavoro», una iniziativa speciale e da tempo vagheggiata, la diffusione della rivista paolina la Domenica Illustrata. Chiede preghiere, collaborazione e diffusione, sicuro che la nuova rivista porterà tanta benedizione di Dio sulle famiglie, che, diceva, «sono le sane cellule della Chiesa e della società». In quella stessa occasione, parla anche del nuovo tempio a San Paolo di Alba, che sarà la «chiesa dei Cooperatori e dei nuovi giornalisti », affermando che le loro preghiere, suppliche, atti di virtù, la santa Messa... «sono la nostra costante fiducia, tutta la nostra risorsa, il nostro solo fondo economico». E incalzava: «Per essa (la chiesa di San Paolo in costruzione) stendiamo la mano e chiediamo la collaborazione di tutti i buoni Cooperatori» (cfr. Mi protendo in avanti cit., p. 488). E li rincuorava con l’esortazione, assai frequente in lui, che «è degno dello stesso premio l’apostolo e chi aiuta l’apostolo».

Nessun falso pudore – per lui che voleva che i suoi figli si mantenessero con il loro lavoro – lo faceva retrocedere nel tendere la mano, quando si trattava delle opere di Dio. Già avanti negli anni, nel 1957, chiede aiuti per terminare la “Casa Divino Maestro” di Ariccia: «Mi rivolgo con tanta confidenza a tutti i Cooperatori affinché anche in quest’opera mi diano una mano».

Quanto presentato è solo un assaggio che dimostra la grande fiducia che il nostro beato Fondatore aveva versi i cooperatori laici, che, a tutti gli effetti, egli considerava membri della “mirabile Famiglia Paolina” – anzi “i primi membri” perché sorti contemporaneamente alla nascita delle diverse fondazioni – e nei quali vedeva “la lunga mano della divina Provvidenza”.


*Innocenzo Dante è sacerdote paolino italiano.


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