Certo, in un’ epoca contrassegnata dall’immagine, in cui tutto è relativizzato e secolarizzato, questo rito di paradosis in itinere, acquista particolare significato se doverosamente ricondotto alle definizione della sesta sessione del Niceno II circa la dottrina delle immagini. Così recita la definizione: “Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente ispirata dei nostri santi padri e la tradizione della Chiesa cattolica - riconosciamo, infatti, che lo Spirito Santo abita in essa - noi definiamo con ogni rigore e cura che, come la raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerate e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sulle vesti sacre, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della purissima nostra signora, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e i giusti. Infatti, quanto più frequentemente queste immagini sono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono innalzati al ricordo e al desiderio dei modelli originari e a tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta certo di un'adorazione, che la nostra fede tributa solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende all'immagine della croce preziosa e vivificante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l'offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L'onore reso all'immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l'immagine, venera la realtà di chi in essa è raffigurato” .

Difendendo l'immagine del Dio fatto uomo, il Concilio di Nicea ha voluto difendere anche l'immagine divina presente nell'uomo. Accanto all'icona di Cristo, vi sono le icone dei santi, di coloro che, secondo la spiritualità orientale, hanno ritrovato in se stessi l'immagine di Dio e, in sinergia con lo Spirito Santo, sono pervenuti alla somiglianza con Cristo.

I santi sono i “somigliantissimi”, icone viventi, trasparenza della presenza del Regno su questa terra. E il Niceno II dichiara: “Sia attraverso la contemplazione della Scrittura, sia attraverso la rappresentazione delle icone ... noi ci ricordiamo di tutti i prototipi e siamo introdotti presso di loro”. Contemplare un'icona non è un fatto estetico, ma un evento spirituale. L'icona rappresenta un appello alla conversione, un invito ad acconsentire a quell'opera di trasfigurazione di cui parla Paolo nella seconda lettera ai Corinti 3, 18: “Tutti noi, che a viso scoperto riflettiamo come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati a sua stessa immagine, di gloria in gloria, per azione dello Spirito”.

L’iconografia dell’apostolo Paolo entra a pieno titolo nel profondo linguaggio della pittura delle icone che non può prescindere dalla sua triplice genesi teologica, estetica e tecnica. Dallo studio delle varie fonti dell’iconografia paolina si può affermare che ci si trova di fronte a quattro tipologie figurative dominanti: il ritratto, la figura in piedi, l’abbraccio di Pietro e Paolo, alcune scene della vita.

Il ritratto presenta l’Apostolo con caratteristiche canoniche comuni alle varie interpretazioni degli artisti (fronte alta e stempiata, naso aquilino, barba lunga inanellata nella parte finale, collo robusto e ben visibile), ma con due caratteristiche espressive differenti. La prima è quella del pastore rigoroso, fermo nelle sue indicazioni, preoccupato per le comunità a lui affidate e la cui severità è sottolineata dal sopracciglio sinistro fortemente inarcato; un esempio è l’icona di Teofane il Greco. La seconda peculiarità espressiva è quella dell’uomo di Dio, del teologo profondamente immerso nel mistero della sua esistenza trasfigurata dall’amore di Dio.

Le icone che raffigurano san Paolo in piedi, lo presentano sempre nella bellezza della sua energia interiore e ogni gesto sembra accompagnare i passi del Santo verso la costruzione della Chiesa: le mani che stringono e, nel contempo, propongono la Parola, le mani che ammoniscono o benedicono, i piedi sempre posti su due livelli diversi per indicare la dinamica dell’azione. Nel caso della nostra icona la struttura globale dell’Apostolo segue solo parzialmente i canoni bizantini, anzi si può parlare di forte attualizzazione (la spada, il libro scompigliato, il fondo e la base) pur permanendo nella classicità dello stile.

Con la tipologia iconografica dell’Abbraccio di san Pietro e san Paolo, conosciuta anche con il titolo di Incontro tra Pietro e Paolo e più raramente con quello di Bacio tra Pietro e Paolo, si è di fronte a un tema di grande attualità nella vita delle comunità cristiane. È di notevole interesse la forza dell’abbraccio, la spinta dei corpi dei Santi che si legge facilmente anche nelle raffigurazioni dei particolari dei due volti.

Sembra la tappa conclusiva di un cammino vissuto nella ricerca di una reciprocità che possa parlare ai cristiani per rivolgere loro l’invito giovanneo: «Perché siano una cosa sola, come noi» (Gv 17,11). Quest’immagine può essere considerata un invito all’unità dei cristiani. Lo slancio dei corpi, sempre presente nel modello dell’Abbraccio, diventa canone della raffigurazione stessa, perché non venga meno il senso della stessa.

Tutto è completato dal linguaggio del colore. Studi approfonditi hanno dimostrato che l’arte delle icone è l’arte della luce, pertanto viene meno l’idea di immagini buie e prive di luce. L’intensità della policromia bizantina, che utilizza abilmente i contrasti cromatici, consente di trovare una vibrazione che, dal punto di vista tecnico, serve per affermare gli equilibri e le armonie necessarie all’arte bizantina, ma, dall’altro, è necessaria per toccare la sensibilità del fedele che ad essa si accosta. L’iconografia delle scene della vita dell’Apostolo, nel rispetto della tradizione bizantina, fa riferimento ai testi biblici, alle fonti liturgiche, alla tradizione della Chiesa, ma anche alla testimonianza dei vangeli apocrifi.  Dalla  nascita dell’arte delle icone, gli artisti si sono ispirati,  per esigenze date dall’elaborazione scenica dell’insieme, ai testi apocrifi.  Ciò non svilisce la verità stessa dell’icona.

Analizzando il percorso dell’iconografia paolina, si legge anche il cammino della comunità cristiana accompagnata dalla parola di Dio, si avverte la presenza dell’Apostolo delle genti, se ne gusta l’avventura umana e cristiana che ha ispirato la creatività degli artisti.
Accompagniamo con venerazione questa “icona” di Paolo alla tomba del beato Alberione per riconoscerlo ancora come Padre, modello e fondatore. E, nella comunione dei santi che crediamo e professiamo, lasciamoci, nella preghiera vespertina, avvolgerci nel loro amore per riconoscerci vere Figlie e veri Figli devoti e protesi all’imitazione perfetta.