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Fri, Mar

Le divergenze e i problemi all’interno delle comunità cristiane alle quali san Paolo indirizza le sue lettere, costituiscono l’occasione perché egli interpreti la sua evangelizzazione anche riflettendo su colui che annuncia il Cristo morto e risorto. Trattare esplicitamente dell’evangelizzatore è confermare che l’evangelizzazione è l’impegno di tutta la Chiesa, ma che si attua mediante compiti diversi e convergenti. Valutando i conflitti dei gruppi che nelle comunità di Corinto si appellano a diversi missionari, l’Apostolo dirime la questione definendo il ruolo degli evangelizzatori: «Servitori per mezzo dei quali siete arrivati alla fede» (1Cor 3,5); «noi siamo collaboratori di Dio» (1Cor 3,9); «servi di Cristo e amministratori dei suoi misteri» (1Cor 4,1); «non che vogliamo signoreggiare sulla vostra fede! Anzi, siamo cooperatori della vostra gioia» (2Cor 1,24); «quanto a noi, siamo i vostri servi a motivo di Gesù» (2Cor 4,5); «fungiamo da ambasciatori, come se Dio esortasse per mezzo di noi» (2Cor 5,20); «siamo suoi collaboratori» (2Cor 6,1).

Ogni evangelizzatore si definisce in relazione a Dio, di cui è l’ambasciatore, il collaboratore e il ministro, e in riferimento ai destinatari, di cui è servo. L’opera di mediazione dell’evangelizzatore non può trascurare nessuna delle due relazioni. Se snatura la qualità dell’incarico ricevuto da Dio rischia di atteggiarsi a "padrone" della fede, addomesticando la parola di Dio; se perverte l’atteggiamento di servizio verso i suoi destinatari, si trasforma in mercenario o burocrate senz’anima. Potremmo chiederci se alcune iniziative di pastorale parrocchiale e di comunicazione mediale non siano sbilanciate in una relazione o minimizzino una delle due.

Quando san Paolo riassume tutta la sua attività missionaria affermando «mi sono fatto tutto a tutti» (1Cor 9,22), polarizza l’interesse di ogni opera pastorale sul suo obiettivo: «per salvare ad ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22). La storia della vita cristiana può essere osservata anche individuando periodi nei quali si è dato maggiore rilievo a uno degli aspetti dell’evangelizzazione: la comprensione del ruolo dell’evangelizzatore, i contenuti, i mezzi, i metodi, gli incaricati, gli obiettivi e i destinatari.

Per adottare lo stile pastorale di san Paolo, sempre preoccupato dei destinatari, dobbiamo considerare quanto scrive ai Corinzi su profezia e glossolalia (cf 1Cor 14,1-33). «Chi parla da glossolalo edifica sé stesso; invece chi profetizza edifica l’assemblea» (1Cor 14,4) e, riferendosi al suo comportamento, precisa: «In assemblea preferisco dire cinque parole con la mia mente, per istruire anche gli altri, piuttosto che dire diecimila parole da glossolalo» (1Cor 14,19).

Benché i termini in questione siano di ambiti diversi, potremmo applicare questa distinzione alla pastorale parrocchiale e mediale evidenziando un problema di comunicazione tra il desiderio di offrire un messaggio ricco di contenuti e una comprensione parziale. Per la pastorale resta attuale la constatazione: «Ma non basta dire per essere intesi»; per questo, «nell’attuale pluralità culturale occorre coniugare l’annuncio e le condizioni della sua ricezione» (Per una pastorale della cultura 25). Valorizzando la definizione che san Paolo dà dei cristiani di Corinto, «la nostra lettera, scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini, siete voi, poiché è evidente che voi siete una lettera di Cristo mediata dal nostro servizio, scritta non con l’inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente» (2Cor 3,2-3), si può pensare alla pastorale necessaria per la comunicazione digitale.

Sollecitati dall’esempio del beato Alberione, se intendiamo realizzare una pastorale attenta ai comunicatori in rete, ispirata a san Paolo, dobbiamo avere l’audacia di proporre una fede capace di essere "conversazione".