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Prendo spunto dal discorso pronunciato dal Papa l’ 11 dicembre scorso, alla “Plenaria” della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (1), radunata per lo studio e la valutazione del Motu Proprio “Authenticum Charismatis” del 1 novembre 2020 riguardante taluni aspetti fortemente problematici già da tempo osservati nella fondazione di nuovi Istituti e Comunità (2). Nel suo discorso il Papa non ha mancato di allargare lo sguardo sul “travaglio” che interessa la Vita Religiosa nel suo complesso e che sembra scuoterla negli assetti identitari portanti con evidenti ricadute quali il vistoso calo numerico, l’invecchiamento, le dinamiche di solitudine, di indifferenza, di ripiegamento su sé stessi con l’inevitabile scadimento della “vita comune” in fraternità. Davanti a simile scenario papa Francesco, per nulla incline alla delusione e alla rassegnazione, indica due possibili vie per mantenere viva la speranza nel futuro della Vita Religiosa: la via biblica della “memoria” e l’integrazione nel Popolo Santo di Dio.

La “memoria” come fondamento della “speranza”

Il Papa, esorta i Religiosi a “far prevalere la speranza, fondata sulla bellezza del dono che è la vita consacrata”(3) e a puntare “sul dono di Dio, sulla gratuità della sua chiamata, sulla forza trasformatrice della sua Parola e del suo Spirito”. La “speranza”, pertanto, impegna i Religiosi a radicarsi sulla fedeltà di Dio alle sue promesse e sulla gratuità del suo “dono di Grazia” (o carisma) più che su programmi e pianificazioni strategiche pur necessari. Il Papa, rimuovendola dal terreno scivoloso dei sentimenti e delle umane emozioni prevalenti nel nostro tempo, iscrive la speranza nel contesto della rivelazione biblica invitando i Religiosi a fare “memoria” delle meraviglie che Dio ha compiuto:”nella Chiesa, nel nostro Istituto, nella mia vita” e che sono all’origine e rappresentano le “radici” di ogni Istituto. Per la nostra Congregazione tenere viva la “memoria” comporta tornare ogni giorno a “radicarci” sul “dono” fatto da Dio alla Chiesa e al Mondo tramite il nostro beato Fondatore: quello di mettere al servizio dell’universale predicazione del Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo i ritrovati forniti dall’ incessante evoluzione della tecnica nel campo della comunicazione. Si rende per questo necessaria una chiara distinzione tra il “dono” che viene dallo Spirito e, perciò immutabile, e ciò che viene dall’Uomo e perciò, sottoposto al vaglio del “tempo” come i percorsi spirituali, le “consuetudini”e le “tradizioni”pur legittime. Queste prendono a volte il sopravvento sul “dono” fino ad offuscarlo e, non più idoneo a sostanziare il “fine” e il “senso” ultimo dell’essere “in unum congregati”. Perdere la “memoria” del “dono” di Dio, comporta secondo l’espressione durissima del Papa ad una sorta di maledizione: quella di rimanere “senza radici e senza germogli”, incapaci cioè di generare vita!

L’integrazione nel Popolo Santo di Dio

E’ il criterio essenziale, evidenziato dal Papa per valutare l’autenticità del carisma che è all’ origine di un Istituto o Comunità religiosa, vale a dire la capacità di “integrarsi nella vita del Popolo Santo di Dio per il bene di tutti”. Di conseguenza, i diversi carismi, se provenienti dallo Spirito, hanno, in definitiva, il compito essenziale di condurre l’umanità, per mezzo della predicazione e della testimonianza del Vangelo, a far parte dell’unico Popolo Santo di Dio al fine di formare l’unico “Corpo di Cristo che è la Chiesa” . Misconoscere tale essenziale destinazione delle più disparate forme in cui si è articolata finora la Vita Religiosa, porta inevitabilmente al ripiegamento “sulle nostre cose”, alla presunzione di autosufficienza, e, in definitiva, all’autoreferenzialità. Questa viene di continuo additata dal Papa come il “cancro” che corrode dall’interno e che lentamente asfissia le Comunità rendendole insignificanti per la Chiesa locale e per il Territorio come “capitate lì per caso”, ignare della realtà sociale, civile, politica, economica ed ecclesiale nella quale sono pur immerse. A più di sessanta anni dal Concilio Vaticano II la ritrovata visione “misterica” della Chiesa quale Popolo Santo di Dio e Corpo di Cristo, fatta propria e autorevolmente trasmessa al nostro Istituto nei Documenti del Capitolo Straordinario del 1969-71, attende ancora di essere pienamente recepita e trasmessa alle nuove generazioni di Religiosi.

Al Capitolo tra “memoria” e “speranza

Le riflessioni del Papa che, in prima istanza, si riferiscono agli Istituti di nuova fondazione, interpellano di fatto tutta la Vita Religiosa. A mio avviso possono contribuire ad impostare, su solide basi, l’educazione iniziale e continua di quanti si aggregano nelle nostre Comunità e le scelte concrete di quello che con un termine che ci contraddistingue continuiamo a chiamare “apostolato”! In particolare, il tenere viva la “memoria” sul dono di Dio e la consapevolezza di contribuire, in comunione con la nostra Madre Chiesa, all’annuncio del Vangelo con la modalità propria che discende dal “dono” può favorire un approccio unitario e sereno alla tematica che il prossimo Capitolo Generale è chiamato ad affrontare per innervare nella nostra Congregazione “una speranza ragionevole e certa”.

 

* Don Alberto Fusi è il Procuratore Generale della Società San Paolo

 

NOTE

(1) La Plenaria è un organismo presente nelle Congregazioni e nei Dicasteri della Santa Sede composta da Cardinali, Vescovi, Prelati e dai rappresentanti dei Moderatori Supremi e recentemente anche delle Moderatrici degli Istituti femminili. che si raduna per studiare temi connessi, nel nostro caso alla Vita Religiosa.

(2) Nel Motu Proprio sopra citato il Papa ha disposto la modifica del can 579 CIC, disponendo per l’avvenire la necessità della previa licenza della Santa Sede per l’approvazione di nuovi Istituti e Comunità di diritto diocesano. Il Motu Proprio e il discorso alla Plenaria sono rintracciabili in wwwvatican.va

(3) Si tratta di una citazione presa dall’Esortazione post sinodale “Vita consecrata” n.13, di san Giovanni Paolo II.

 

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29 mars 2024

* SSP: 1947 a Santiago de Chile (Cile).

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