«Il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza». Con queste statuarie parole papa Francesco lo scorso 23 agosto, in occasione dell’angelus domenicale, ammoniva tutti – e noi cristiani per primi – a un esame di coscienza su una delle più grandi tragedie dell’umanità dei tempi attuali. Ricorreva il giorno successivo, infatti, il decimo anniversario del massacro di 72 migranti a San Fernando a Tamaulipas, nel nord-est del Messico. Tutte povere persone – 58 uomini e 14 donne, alcune di queste incinte – emigrate dall’America centrale e meridionale, prive di documenti e dirette negli Stati Uniti. Furono catturate da un cartello messicano della droga, Los Zetas, e “giustiziate” senza pietà in un ranch a 100 miglia a sud del Texas perché, prive di soldi per il riscatto, non hanno voluto accettare almeno di lavorare al soldo del cartello. «Erano persone di diverse paesi che cercavano una vita migliore», ha commentato laconicamente il Pontefice. Vite prive di valore per i loro spietati killer…

La rotta che passa dal Messico e porta all’agognata meta di una vita migliore è una delle più pericolose del mondo a causa dei cartelli che imperversano nella zona e che sottopongono a “tasse” ulteriori i malcapitati. Non diverse sono – ahinoi! – le rotte del Mediterraneo, battute da migliaia di migranti dell’Africa subsahariana che affrontano con coraggio le tempestose onde del mare dopo aver affrontato le aride dune del deserto. Anche qui spietati trafficanti di uomini perpetrano violenze, ricatti e uccisioni in piena impunità. Molti di questi migranti, sopravvissuti a torture e a sforzi sovrumani, muoiono proprio nell’ultima tappa del loro “viaggio della speranza”, affogati dopo l’affondamento del loro barcone.

Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, l’isola nel Mediterraneo che rappresenta lo “scoglio” dell’Italia – e dell’Europa! –  più vicino all’Africa, in un bel libro testimonianza del 2016 dal titolo “Lacrime di sale” narra la sua attività di responsabile sanitario delle prime visite dei migranti appena giunti sull’isola. Un vero pugno nello stomaco. Un libro da leggere. Un richiamo laico, nella brutalità delle testimonianze contenute nei suoi racconti, alla responsabilità che tutti – come uomini e come consacrati – abbiamo verso questi drammi umanitari che stanno marchiando a fuoco questi nostri tempi così densi di cose nuove, ma anche di contraddizioni disumane.

Non possiamo non sentirci in profonda sintonia con questo dramma che coinvolge una parte dell’umanità nell’indifferenza dell’altra parte. Non possiamo non farci un esame di coscienza per quella “globalizzazione dell’indifferenza”, per quella “anestesia del cuore” a cui ci ammonì papa Francesco in occasione di uno dei suoi primi viaggi apostolici. Era lunedì 8 luglio 2013. Quanto è cambiato il nostro cuore da allora?