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Sex., Abr.

Che cosa comunichiamo nelle nostre email o in FB, Twitter, WhatsApp, Viber, LinkedIn, Google+, Instagram, XING o, ancora, nei nostri blog personali? Quali sono i contenuti: le frasi, le mezze frasi, le foto e i video, gli emoticon o emoji, i GIF e, soprattutto, i selfie? I messaggi “inscatolati” possono essere molto comodi da utilizzare, ma possono anche tradire lo spirito del nostro interesse per “incontrare” l’altra persona. Sappiamo che le frasi, le mezze frasi, gli emoji e i GIF non sono sempre quelli che permangono e restano nell’anima del nostro destinatario.

Perché comunichiamo? Chi sono i nostri destinatari? Di ciò che inviamo, qual è la percentuale di ciò che diciamo agli altri di se stessi e di noi stessi? Come è il nostro modo di comunicare, specialmente nei momenti in cui siamo noi stessi intrappolati nei tanti problemi e preoccupazioni quotidiani? Dalle risposte dei riceventi, loro percepiscono il nostro stato di animo negativo, o ci trovano di sostegno, pazienti, gentili, compassionevoli verso di loro, nonostante le nostre difficoltà personali? Qual è l'impatto di ciò che comunichiamo agli altri? Si sentono contenti, amati, ispirati, incoraggiati, speranzosi, assicurati? Sappiamo anche che meno “parliamo” di noi stessi meglio è, specialmente se l’altro attende la nostra compassione.

Come Paolini e Paoline, comunichiamo valori umani e cristiani più che noi stessi, le cose che contano veramente e non solo delle informazioni, che magari dividono piuttosto che costruire incontri personali significativi? Ricordiamo che ciò che è scritto è “scritto” per sempre. I nostri messaggi possono costruire o distruggere una buona relazione o possono arricchire o impoverire le persone.

Come membri delle nostre comunità, più che comunicare con i mezzi mediati ci viene chiesto di essere comunicatori in prima persona ai nostri fratelli e sorelle. La nostra comunicazione personale deve costruire ponti non muri, creare sinergia e collaborazione, fraternità e comunione in vista della missione. I progressi nelle reti e nei mezzi di comunicazione, specialmente i social media, non garantiscono il nostro essere buoni comunicatori. Si realizza solo quando troviamo e condividiamo in comune – come dice Papa Francesco – «la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EG 87). Ma questo accade solo con un prezzo molto alto per tutti perché ci richiede di uscire dal nostro individualismo poiché – come conclude il Papa – «chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo» (EG 87).

Siamo certamente convinti che una vita di testimonianza personale ai valori evangelici è ancora il modo migliore per comunicare. Ma prima dobbiamo imparare ad ascoltare con la nostra mente, cioè con intelligenza, con delicatezza di cuore e con tutta l’umiltà della volontà per accogliere l’altro come altro da sé. Prima di tutto, il beato Alberione ci esorta che la prima persona da ascoltare non è altri che il Maestro stesso, anzitutto “ai suoi piedi” davanti al Tabernacolo, particolarmente durante la Visita. Il nostro Padre San Paolo continui ad ispirarci con le sue parole: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4:8). Cor Pauli, cor Christi!