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Sun, Jun

Domenica 3 maggio, alle ore 12 circa (ora locale), è deceduto presso il Policlinico Gemelli di Roma (Italia) il nostro fratello sacerdote     

GIUSEPPANGELO FELICE MASTRANDREA
81 anni di età, 68 di vita paolina, 59 di professione e 52 di presbiterato

Don Giuseppangelo, chiamato affettuosamente “Don Peppino” dai confratelli e dai ragazzi della Parrocchia Buon Pastore di Roma, dove ha risieduto a lungo, è morto in seguito agli effetti sul sistema respiratorio del coronavirus, che è andato a peggiorare una situazione complessiva già complicata dal diabete, da una generale insufficienza renale e da altre patologie pregresse. Diverse settimane fa don Peppino aveva contratto il virus nell’infermeria di Roma ed era stato ricoverato al Policlinico Gemelli.

Don Peppino nasce a Grumo Appula, in provincia di Bari, il 9 marzo 1939 da papà Felice e mamma Teresa. Lei vorrebbe che tutti e sei i figli maschi diventino sacerdoti. E uno, il piccolo Giuseppangelo, l’accontenta subito, entrando in Casa a Bari l’8 settembre 1951, seguito a ruota due anni dopo da suo fratello Tommaso, anche lui sacerdote paolino. Sono i primissimi tempi di quella comunità, fondata solo un anno prima. Racconta don Tommaso: «Una villa di campagna, con un capanno, ex falegnameria e deposito di attrezzi agricoli. La vecchia villa fu abbattuta per costruire il seminario e per impiantare una tipografia. Quando arrivammo noi ragazzi c’era solo un parallelepipedo in costruzione e il capanno dava alloggio alla comunità. Superiore era don Antonio Brossa, il maestro dei ragazzi don Primo Boni. Il Primo Maestro, che veniva a trovarci spesso, diceva che eravamo come nella grotta di Betlemme». Un affresco che descrive bene quei fantastici ma sofferti primi anni di nostra presenza nel capoluogo pugliese. E che ci dice, insieme, di come l’allegria e la complicità sopperivano alle tante carenze di quegli anni lontani. Rivela ancora, infatti, don Tommaso: «Don Peppino, per convincermi a entrare in collegio mi aveva descritto, con linguaggio hollywoodiano, un magnifico castello, un grande parco giochi, e ogni ben di Dio da mangiare. Mi  aveva gioiosamente imbrogliato, complice mia madre». Uno spaccato di vita che descrive bene l’animo giocondo di don Peppino, che non lo abbandonerà fino alla fine.

Dopo qualche anno di prima formazione, vive il noviziato ad Albano Laziale. Qui l’8 settembre 1960 emette i primi voti, assumendo il nome religioso di Felice. Un nome che si sposa bene con quanto di lui dicono formatori e compagni, che ne vedono un ragazzo contento della sua vocazione, con un’indole esuberante e spiritosa, di compagnia, conciliante, capace di vedere sempre il lato positivo delle cose. Note sparse di un carattere fortunato, molto adatto ai lunghi anni di vita comune che lo aspettano.

Professa in perpetuo i voti a Roma l’8 settembre 1965. Ancora qui, infine, viene ordinato presbitero il 30 giugno 1967 per l’imposizione delle mani di Mons. Ettore Cunial. Negli anni consegue il diploma in Sociologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e la Licenza in Teologia ecumenica alla Facoltà di Bari. Il primo incarico è a Modena come animatore vocazionale. Nel 1970 torna a Bari, dove per un decennio è impegnato nella libreria, anche come Direttore. Segue il ritorno a Roma, alla parrocchia Gesù Buon Pastore, dove fino al 1986 esercita il ministero parrocchiale ed è assistente scout. Dal 1986 al 1992 rientra ancora nella comunità di Bari per assistere la mamma malata e, dopo un altro breve intervallo a Roma (1992-1995), lo troviamo per cinque anni a Casa Madre ad Alba, dove è collaboratore del settimanale Gazzetta d’Alba e animatore vocazionale. Segue un triennio come Superiore della Casa di Genova (2001-2003) e il ritorno nell’amata Parrocchia di Gesù Buon Pastore, dove rimane fino al 2012, molto stimato dalla gente di quel popoloso quartiere di Roma. Tra i tanti ricordi di lui resta quello della “sua” tipografia, dove preparava e stampava il bollettino parrocchiale distribuito in moltissime copie ai fedeli. Gli ultimi anni lo hanno visto ancora una volta protagonista nella natia Bari, dove ha svolto il ministero nella parrocchia di Monteverde di Grumo Appula, il suo paese natale, e al Cimitero Monumentale di Bari, guadagnandosi la stima dell’Arcivescovo locale, Mons. Francesco Cacucci, che, quando ha appreso della sua morte, non ha mancato di manifestare la sua gratitudine ai parenti per questi anni di prezioso ministero.

Dal settembre 2019 don Peppino era ricoverato nell’infermeria di Roma per l’aggravarsi di un’infezione a un orecchio. Un tempo vissuto in serenità e con esplicita gratitudine verso i nostri fratelli così validamente impegnati nell’assistenza dei malati.

Chiudiamo questo grato ricordo con la frase di papa Francesco riportata nell’immaginetta fatta stampare in occasione del suo 50° anniversario di sacerdozio, che ne riassume la vita più di tante parole: «Trovo tre carat-teristiche significative nella nostra gioia sacerdotale: è una gioia che ci unge, è una gioia incorruttibile ed una gioia missionaria che si irradia a tutti, cominciando alla rovescia: dai più lontani».

 

Roma, 5 maggio 2020                        

 

Don Stefano Stimamiglio, ssp
Segretario generale


Dopo la cremazione, le ceneri verranno deposte nella cappella di famiglia del cimitero di Grumo Appula (Bari). Appena possibile verrà celebrato in loco il funerale.

I Superiori di Circoscrizione informino le loro comunità per i suffragi prescritti (Cost. 65 e 65.1).


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June 15, 2024

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Che ci sia il distacco dalla terra e l’attaccamento a Dio, l’unione a Dio, in carità, quando cioè si può dire davvero: vi amo con tutto il cuore, vi amo sopra ogni cosa, specialmente sopra di me, sopra il mio orgoglio e il mio egoismo; e amo il prossimo come me stesso, per amore di Dio (APD56, 363).

June 15, 2024

Debe haber desprendimiento de la tierra y apego a Dios, unión con Dios, en caridad; es decir, cuando se pueda decir de veras: te amo con todo mi corazón, te amo sobre todas las cosas, especialmente sobre mí, sobre mi orgullo y egoísmo; y amo a mi prójimo como a mí mismo, por amor a Dios (APD56, 363).

June 15, 2024

Let there be detachment from the world and attachment to God, union with God, in charity, when one can truly say: I love you with all my heart, I love you above all things, especially myself, above my pride and selfishness; and I love my neighbour as myself, out of love for God (APD56, 363).