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Gio, Mar

Il cammino sinodale che Papa Francesco ha indicato come volto della Chiesa del terzo millennio e che il nostro Superiore generale ha scelto come percorso di avvicinamento e come modalità di celebrazione del prossimo Capitolo generale della Società San Paolo, ha necessità di una riflessione approfondita sia sulla sua natura che sulle sue implicanze perché non rimanga solo uno slogan o una moda del momento.

Nell’ultimo nostro intervento in questa rubrica, abbiamo sviluppato la dimensione ecclesiologica del cammino sinodale, individuando “il popolo di Dio” come soggetto attivo di questo cammino, dandone anche le radici bibliche di questa visione, riscoperta dal Vaticano II e promossa da Papa Francesco.

Abbiamo anche cercato di applicare questa dimensione alla nostra congregazione, la Società San Paolo, proponendo l’immagine di “Popolo di Dio congregato”.

Tutto questo perché, se veramente vogliamo intraprende come congregazione il cammino sinodale, dobbiamo dare a questa dimensione un solido fondamento teologico e, nello stesso tempo, farla diventare una realtà incarnata nel nostro vissuto quotidiano avendo un reale riscontro e applicazione nella nostra vita ordinaria congregazionale. Dobbiamo passare dall’”idea” di Popolo di Dio all’”essere” Popolo di Dio congregato.

Una caratteristica, un requisito che evidenzia e dimostra l’essere noi popolo di Dio congregato è “il senso di appartenenza”. Nelle nostre comunità e circoscrizioni accusiamo spesso la presenza di un persistente individualismo e di una frantumazione di risorse e di energie. L’acquisire la dimensione di popolo di Dio congregato, attraverso lo sviluppo del senso di appartenenza a questo popolo, può essere la strada e la medicina per recuperare armonia e comunione nei vari ambiti della nostra vita congregazionale.

Dobbiamo, però, sintonizzarci su cos’è per noi e come lo coniughiamo questo senso di appartenenza, ammesso che condividiamo l’assunto che esso è indispensabile per la nostra vita.

Riporto alcuni pensieri di Don Galaviz proprio su tale tema:

“Il significato della parola appartenenza (dal latino pertinentia), è quello di proprietà, che nel nostro caso è da prendersi nelle due direzioni: il consacrato deve riconoscersi proprietà dell’Istituto, e allo stesso tempo essere convinto che l’Istituto gli appartiene. Si deve, quindi, identificare con l’istituzione o famiglia re­ligiosa della quale fa parte: appartenere equivale anche a partecipare attivamente alla vita e alle opere del proprio gruppo”.

“È bene ricordare che la comunità consacrata è un gruppo umano primario, come lo è la famiglia; non è però istintivo o naturale, ma di elezione e per motivi soprannaturali. Tra i membri di una comunità consacrata non intercorrono vincoli di sangue, ma i vincoli che li uniscono sono ancora più stretti e di natura superiore (cf AD 35). Alla pari con la famiglia naturale, la comunità consacrata è caratterizzata da un’interazione diretta dei suoi membri e non si tratta di una semplice associa­zione occasionale o convenzionale di persone (gruppo secondario) dove i rapporti sono indiretti o formali, più di indole contrattuale che conviviale”.

“Vocazione, consacrazione e missione: nella vita consacrata, questi tre elementi stanno alla base di una comune identità e della scelta di una condivisione di vita. Grazie a questi elementi, il senso di appartenenza dell’individuo cresce come ade­sione concreta alla comunità e al proprio istituto (e, nel nostro caso, all’intera Famiglia Paolina). Tale adesione è un sentimento dinamico, suscettibile di cre­scita, come pure di crisi o diminuzione. In prospettiva di crescita, questo senti­mento di adesione si muove dalla conoscenza alla stima; dalla stima all’amore; dall’amore alla dedizione e all’impegno pratico”.

“Finiamo con una domanda: in questo momento della nostra storia, che ci trova già protagonisti del XXI secolo, quale è il senso di appartenenza che ci occorre?

Il senso di appartenenza di cui abbiamo bisogno come membri della Famiglia Paolina non è quello anagrafico o statistico; neanche quello nostalgico e anacronistico che vive di memorie e di rimpianti; né un senso di appartenenza rassegnato e passivo, oppure ipercritico e inconcludente. Il nostro senso di appartenenza deve essere profondo, sentito e attivo, coerente e profetico”.

Quanto ci ha offerto don Galaviz sono gli elementi di base di questo tema.

Sarebbe auspicabile che potessimo creare un forum di dibattito su questo come su altri argomenti, sia come momento di condivisione sia per arricchirci vicendevolmente dando ciascuno il suo contributo alla riflessione.

 

*Don Vito Fracchiolla, Vicario generale della Società San Paolo.

 

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28 Marzo 2024

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28 Marzo 2024

* SSP: 1988 Maggiorino Vigolungo viene proclamato Venerabile.

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