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Thu, Mar

L’articolo 5 delle Costituzioni e Direttorio della Società San Paolo rivela anzitutto, nella sua formulazione, la progressiva maturazione di un pensiero, che, a partire dalle istanze carismatico-fondazionali, inscrivibili nel genuino pensiero originario del Beato Alberione, hanno condotto ad una rinnovata consapevolezza attribuibile ad un vero e proprio “pensiero congregazionale condiviso”.

“Nel carisma fondazionale di D. Alberione, il sacerdozio è una componente irrinunciabile. Dai sacerdoti paolini «devono discendere il calore e la luce vitale» che rinvigoriscano la comunità, la congregazione e l’intera Famiglia paolina, ravvivandone gli ideali e stimolandone l’urgenza apostolica. Lo spazio tipico che nell’apostolato specifico occupa il sacerdote paolino, in virtù della sua ordinazione e associazione all’episcopato, è quello di essere l’esperto della parola di Dio, conferendo garanzia e ufficialità alla predicazione del messaggio salvifico. La presenza del discepolo paolino nell’organico della congregazione è strettamente complementare e coessenziale a quella del sacerdote. Il suo spazio tipico è quello di essere mediatore attivo della parola di Dio in ordine alla comunicazione sociale, «moltiplicando indefinitivamente» la predicazione. L’unione tra sacerdoti e discepoli, che si costituiscono a vicenda «paolini» e che comporta la corresponsabilità di tutto ciò che riguarda la vita di comunità e l’apostolato, è stata intesa dal Fondatore come una delle caratteristiche peculiari o «novità» della congregazione.” (Costituzioni e Direttorio Art. 5)

Lungi dal volere offrire una riflessione complessa e articolata sul contenuto di detto articolo (cosa che richiederebbe ben altri spazi e soprattutto ben altra disponibilità di tempo), vorrei invece provare a focalizzare l’attenzione di chi legge su alcuni termini che il nostro legislatore peculiare ha inteso inserire nel testo costituzionale e che si mostrano particolarmente rivelativi della natura dello stesso e soprattutto della finalità conoscitiva e normativa che esso intende conseguire in ordine, specialmente, alla presenza delle figure del Sacerdote e del Discepolo paolino.

I termini che prenderò in esame saranno anzitutto “complementari” e “coessenziali”, quindi il termine “costituirsi” e infine il termine “mediatore”.

Complementare e coessenziale esprimono, su piani diversi, una realtà comune, quella dell’unica vocazione paolina. La coessenzialità esprime la condivisione, tra Sacerdote e Discepolo paolino della essenza della propria vocazione, dell’essere entrambi membri della Società San Paolo e dunque compartecipi di un’appartenenza che ne determina l’essere. Sia il Sacerdote che il Discepolo paolino possono legittimamente dire: “io sono paolino” e questa affermazione ha in tutti e due i casi la medesima identità e dignità. La complementarità invece attiene non alla essenza ma alla funzione, alla operatività. Nella medesima vocazione il Sacerdote e il Discepolo paolino “fanno” ordinariamente cose diverse. La differenziazione nelle operazioni e nelle attività, tuttavia è sempre e costantemente tendente a garantire una unità integrata che esprime l’estroflessione dell’unica vocazione, unita a livello di essenza. Pertanto le azioni differenti non possono che essere complementari. Le une hanno sempre necessità di integrarsi con le altre. Questa integrazione necessaria, che ha dunque in sé un costante richiamo “essenziale” non può per la sua stessa natura esimersi dall’essere in qualche misura “costitutiva”. Ecco dunque perché il dettato delle nostre Costituzioni specifica che è proprio nel loro essere non soltanto operativamente complementari ma sostanzialmente coessenziali che i Sacerdoti e i Discepoli del Divin Maestro “si costituiscono” vicendevolmente paolini. Dunque solo la loro contemporanea presenza e azione garantisce la compiutezza del disegno costitutivo della Congregazione. In altri termini se non si registra simultaneamente la presenza dei Sacerdoti e dei Discepoli del D.M., “non si dà” la Società San Paolo, o in termini ancora più assoluti, la Società San Paolo “non è”. Se questo è detto a carattere generale lo è anche nella considerazione del singolo membro. Su questo punto basti ricordare cosa diceva lo stesso Beato Alberione laddove affermava che Sacerdote e Discepolo assieme uniti nelle edizioni meritano quindi il nome di Apostoli. Al contrario il Prete scrittore che fa l’apostolato paolino da solo, è un semplice scrittore; il Discepolo senza Sacerdote scrittore è semplice operaio.

Dunque un radicale punto di unione è l’apostolato, ossia l’apostolato è l’ambito nel quale si entra fenomenologicamente in contatto con l’unità essenziale e l’operatività complementare del Sacerdote e del Discepolo simultaneamente costituentisi “paolini”.

L’apostolato paolino è naturaliter apostolato di mediazione e tale mediazione, quando esprime come nucleo contenutistico principale (che corrisponde alla realtà effettiva da mediare) la Parola di Dio, si qualifica convenientemente come predicazione.

Essendo dunque la predicazione estroflessione diretta della mediazione, ossia di quell’apostolato nel quale sacerdote e discepolo paolino, nella propria complementarità operativa, sono stabiliti a livello di unità essenziale, essa non potrà che afferire ad entrambe le figure in maniera diretta. Di entrambe le figure ossia di ogni Sacerdote e Discepolo paolino si potrà legittimamente dire che è mediatore, ossia predicatore della Parola, ognuno nella peculiarità e specificità della sua concreta operatività.

 

* Guido Colombo, sacerdote paolino italiano

 

 

 

 

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