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Thu, Apr

«Ieri sera nella veglia del S. Natale si è cercato ordinare in tipografia la biblioteca del laboratorio: vi fu slancio, vivacità, allegria. Alle 10,30 il caro Padre (don Alberione) ricevette nello studio le nostre confessioni… Si ornò di fiori a luogo del quadro di S. Paolo un bel Bambino. A mezzanotte il caro Padre ci ha celebrato le tre Sante Messe ingemmate di devozione e di canti. A metà della seconda abbiamo tutti ricevuto la S. Comunione, poi ci siamo allegramente mangiata la polenta e si è andati a riposo fino alle 8,30». Era il 25 dicembre 1918 quando Timoteo Giaccardo annotava sul suo Diario cosa era avvenuto in quella notte santa. Nulla di straordinario e a dir il vero anche poco interessante. Eppure queste scarne righe ci portano dentro la vita dei primi tempi, di quando la vita paolina stava prendendo forma, di quando cioè per far festa si mangiava un po’ di polenta. Ciò che non mancava era lo “slancio” e la “vivacità”. Timoteo è stato colpito da questa vitalità, da ciò che don Alberione viveva con loro.

A ridimensionare questa atmosfera ci pensò l’incendio del giorno dopo: la tipografia andò in fiamme e tutti si ritrovarono in piedi alle 3 del mattino. Don Alberione si precipitò per salvare il salvabile, mettendo a rischio la vita. Altri a casa pregavano. Vinto il fuoco la maggior parte tornò a casa, mentre il signor Teologo offriva mezzo bicchiere di vino barbaresco. Natale del Signore 1918.

Le parole del giovane Giaccardo scritte come semplici appunti, evocano ricordi che emozionano ancor oggi. Annotare, scrivere, in genere comunicare non lo si fa solo per sé stessi, ma in questo gesto c’è un desiderio forte e chiaro che muove all’altro, al possibile lettore, a rendere condivisibile ciò che è solo di qualcuno. Il Diario, per quanto intimo e personale è fatto per essere condiviso.

E ciò che il Padre compie con l’incarnazione del Figlio non può essere in qualche modo descrivibile proprio in questo modo? Cosa di unico, personale, divino poteva “avere” da condividere se non il Figlio? Ecco proprio lui ci è donato. Gesù, la parola e il volto del Padre, è il modo tramite il quale Dio ci raggiunge perché iniziando un dialogo profondo e duraturo con lui possiamo sperimentare che la nostra vita è fatta per vivere in Gesù. Solo per amore il Figlio è uno di noi, così come, per amore, ancora oggi c’è qualcuno che racconta, annota, scrive, digita, naviga… comunica: per amore. Natale del Signore 2016.

 

* Don Domenico Soliman è il segretario personale del Superiore generale, don Valdir José De Castro