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Jeu, Mar

Jose CarballoPartendo dalla immagine del sommo sacerdote nella Lettera agli Ebrei, il superiore è un fratello preso tra i fratelli per servire i fratelli. Un superiore non deve dimenticare mai di essere un fratello e che il suo è un ministero, cioè un servizio: tutto il resto si può aggiungere o togliere a seconda delle circostanze, ma non possono mancare i due elementi detti, se si vuole essere servitori della comunità di fratelli. Un superiore deve tenere presente la frase di Gesù: non sono venuto per essere servito ma per servire. Il potere è incompatibile con il servizio di autorità come è proposto dal Vangelo: vedi l’esempio del Papa. 

Ancora, partendo dalle Scritture, chi esercita l’autorità non può gloriarsi se non nel lavare i piedi ai fratelli. L’icona della lavanda ai piedi si presta bene a descrivere il servizio dell’autorità.

Da questa premessa vengono alcune conseguenze: il servizio dell’autorità non si può conciliare con l’esercizio del potere. Vive l’esercizio del potere chi si sente padrone, come se la comunità fosse la propria azienda. È uno stile contrario al Vangelo (Mt 23,8-10; Lc 20,46). Non si può mettere il potere accanto al servizio.

Non si può pensare il servizio dell’autorità in chiave di privilegio. Questa sarebbe una concezione propria di chi anziché lavare i piedi dei confratelli, si lava le mani. E sappiamo le conseguenze di questo nel caso di Gesù… Non lavarsi le mani, ma lavare i piedi! (Cfr. Gv. 13,4-15).

Ancora un pericolo tipico di questi tempi: per chi è chiamato a presiedere i fratelli nella carità è il laissez-faire, che è un altro modo di lavarsi le mani. Non volersi complicare la vita, oppure il compromesso “io ti lascio fare, tu mi lasci fare” (laissez-faire). Questo non ha a che fare con il Vangelo. La regola suprema di un consacrato è il Vangelo!

L’autorità ha senso soltanto dentro la comunità, nella comunità e per la comunità. Poiché la comunità è la famiglia unita in Cristo, l’autorità non può girare intorno alla persona del superiore, ma attorno a Cristo, che è il centro della comunità. Il centro della comunità è Cristo, se vogliamo essere famiglia unita in Cristo, secondo il Vaticano II. Serve per ogni livello di autorità questa osservazione.

Solo quando al centro sta Cristo, l’autorità viene esercitata o meglio favorisce la relazione. Creare rapporti fraterni nella comunità o nell’istituto è fondamentale per un superiore. Sarà un servizio liberante: l’autorità fa crescere. Se non crea libertà, non è autorità (senza confondere libertà e libertinaggio). E allora sarà autorità con autorevolezza, altro requisito importante se non si vuole solo l’autorità giuridicamente intesa. Cfr. Gesù: fa ciò che dice e ciò che dice manifesta ciò che fa.

Il profilo allora di un Superiore generale: è un uomo – un fratello – che ascolta e obbedisce al Vangelo, regola suprema di un consacrato. Il vangelo è l’autorità massima, al di sopra anche delle Costituzioni, che sono sempre delle mediazioni e dal Vangelo ricevono autorità. Ricordando che il Vangelo non è un libro ma è una persona, Gesù Cristo, Vangelo del Padre all’umanità. Un superiore deve avere un rapporto di intimità con Gesù. “Entriamo e chiediamo consiglio a Cristo” (san Francesco, rispondendo a un fratello che gli chiedeva “cosa devo fare?”). Il vangelo come libro di testo per esercitare il servizio dell’autorità.

Che conseguenze pratiche vengono da ciò? Il superiore deve accettarlo come massima autorità. Noi usiamo dire che “il capitolo è sovrano”… vero, ma se decide cose conformi al vangelo! Oltre a distribuirlo il Vangelo dobbiamo accoglierlo: prima del programma di governo, c’è il vangelo.

Poi il superiore deve porre il vangelo alla base del progetto di vita personale e dell’istituto: l’istituto ha presente e avrà futuro con questa base.

Poi il superiore deve tentare di essere memoria vivente del Vangelo e deve essere interpretativo della vita e della missione dell’istituto.

Ascoltare e obbedire il Vangelo: al servizio dei fratelli e del carisma dell’istituto, di cui è custode: responsabilità grave di un superiore generale.

Servizio ai fratelli comporta amarli, nutrirli e averne cura, come il buon Pastore: quindi conoscerli anzi tutto, portandoli ai pascoli buoni, nutrirli (formazione permanente). Se uno non ama i fratelli, non accetti l’elezione! E poi nutrirli.

Sentirsi vicino ai confratelli: non essere “vescovi di aeroporti” (papa Francesco)! Deve stare dove stanno i fratelli, viaggiando e sentendosi vicino a loro.

Sentirsi a servizio vuol dire fargli sentire e usare misericordia: attenzione ai superiori con grande testa ma poco cuore! Attenzione a non formare mostri, diceva il Papa in un’occasione: grandi menti, ma cuori rattrappiti. “Il tuo eremo adesso è servire i fratelli! E nessun fratello che pecca si separi da te senza aver sperimentato il volto misericordia per il Padre”. Attenzione al laissez-faire. Il superiore dev’essere profondamente umano e esigente allo stesso tempo: cfr. Gv 8, “donna nessuno ti ha condannato, neppure io [divino]… non peccare più [esigente]”. Esigente non vuole dire rigido: la rigidità non è un valore evangelico. Esigere a partire dal Vangelo! Si deve esigere l’essenziale e usare tanta misericordia e apertura.

Essere a servizio vuol dire stabilire rapporti di uguaglianza: ma a volte nelle nostre comunità stiamo codificando, canonizzando l’ingiustizia… Chi ha di tutto e di più e chi deve chiedere tutto. Di fronte alle esigenze del carisma siamo tutti uguali.

Il superiore deve promuovere l’amicizia, che è una virtù cristiana. Deve favorire la fraternità. Cfr. “La vita fraterna in comunità”. Proprio per questo deve avere il coraggio di correggere chi sbaglia: per salvare il fratello! Se non ho il coraggio di correggere, devo avere la virtù di stare zitto! Ma un superiore non può tacere: deve correggere non per umiliare, ma per sanare un confratello.

Ancora, essere a servizio significa mettere la vocazione del fratello al centro: no al comunitarismo e no all’individualismo. La comunità deve costruirsi a partire dai doni che Dio ha dato a ognuno: per questo il superiore deve favorire lo sviluppo e la valorizzazione dei doni del fratello, così come il fratello deve ricordare che i doni ricevuti non gli appartengono ma sono a servizio della comunità. No alle comunità che non rispettano le persone e no alle persone che non rispettano la comunità! In una comunità ci dovrebbe essere tutto il posto per le persone, tenendo conto che sono esseri in relazione e non individui (=isole). L’autorealizzazione del consacrato passa necessariamente per la vita fraterna in comunità. Abbiamo aderito liberamente all’istituto; una volta fatto questo, non si è più liberi di fare un progetto proprio a margine della comunità. E nella Chiesa si assiste oggi al pericolo dell’autoritarismo: altrettanto fatale che l’individualismo.

Essere a servizio del carisma significa poterlo impersonare: che il carisma venga pienamente assunto dal superiore. Il superiore che eleggeremo non è soltanto il coordinatore della ssp, ma il successore di don Alberione: lui deve per primo tentare di impersonare il carisma. Ciò significa che deve interpretare il carisma, perché questo non è una realtà statica: è un dono dato dallo Spirito alla Chiesa attraverso una persona, il fondatore; ma si chiede fedeltà creativa. La Chiesa non ci chiede archeologia, ma fedeltà creativa, per rendere significativo il carisma, altrimenti questi la perde. E per fare questo, deve conoscere il carisma. Perciò raccomanda al superiore di avere un progetto di vita ecologico: che si dia tempo per se stesso, per la sua formazione, per il suo riposo, tempo per Dio. La preghiera è per tutti, soprattutto per il superiore! Tempo per i fratelli e, Dio permettendo, tempo per la missione ad extra. Priorità: per se stesso, per Dio, per i fratelli. Deve studiare, approfondire il carisma: non basta ripetere slogan! Esserne a servizio significa anche conservare fedelmente il carisma. Ma conservarlo non significa nasconderlo sotto terra: suppone uno sviluppo coerente. È una rifondazione: andare in profondità alle radici e andare in orizzontale, rispondendo ai segni dei tempi. Il Generale non deve inventare il carisma. Siamo qui per seguire Cristo e poi imitare la figura del fondatore. Il Generale è a servizio del carisma: non è il “suo” carisma (altrimenti fondi una altra congregazione). Deve conoscere bene la storia dell’istituto, proprio per il suo sviluppo coerente.

Terza definizione: fratello in discernimento che suscita discernimento. Proprio per la fedeltà creativa questo è essenziale! Discernere viene dal gr. diakrisis =separare: il grano dalla pula. Discernere (VC n. 73) è vedere ciò che viene da Dio e ciò che viene da altro, per scegliere ciò che viene da Dio. Il discernimento non va confuso con l’analisi: l’analisi non è il discernimento! Dell’analisi siamo stufi. Si chiede di fare dei passi, a misura di uomo secondo le possibilità. Non basta dire: non abbiamo vocazioni; la sapienza sta nel fare piccoli passi per venirne fuori. Il discernimento parte da un’analisi ma porta a delle OPZIONI, altrimenti sono constatazioni. Non siamo noi i protagonisti, ma lo Spirito. Cfr. Rom, che parla dell’uomo spirituale: per fare discernimento ci vogliono persone spirituali, che non vuol dire stare sempre in cappella ma persona che si lascia guidare dallo Spirito.

Ancora sul discernimento: va fatto alla luce di tre istanze: 1) parte dal Vangelo, regola suprema di ogni istituto (PC; VerDom 83); 2) parte dal carisma: e il compito di un Capitolo è tentare di discernere gli elementi essenziali di un carisma, perché non tutto è essenziale, come non tutto è secondario: si tratta di capire cosa “non è negoziabile”, importante anche per la formazione; poche sono le cose essenziali, ma quelle poche si devono rispettare, altrimenti è il caos; 3) cogliere i segni dei tempi: domanda personale (Signore, cosa vuoi che io faccia?) e comunitaria (fratelli, cosa dobbiamo fare?). cosa fare oggi (non 50 anni fa). L’oggi è il tempo che abbiamo a disposizione: prospettare va bene, ma partendo dall’oggi. Cosa ci chiede il Signore in questo momento storico?

Dobbiamo svegliare il mondo (profezia), uscire, andare, essere uomini in discernimento, dice il Papa. Cosa ci chiede oggi lo Spirito, la Chiesa, il mondo? Il superiore generale deve essere in costante discernimento e suscitarlo: questo darà vitalità all’istituto.

Mezzi di animazione. Deve essere umile (ricordarsi di essere un operaio della vigna): da humus, terra… ma terra feconda. L’umiltà è la verità. Vivere il dinamismo della parabola di comunione. Deve tentare di portare i confratelli a un sentire comune, che aiuti a camminare insieme, rispettando le diversità e la pluralità (tensione che questo suppone!). Siamo un mosaico e ognuno porta il suo colore: e ne viene fuori la figura dell’istituto.

Istanza concreta della comunione: il Generale deve lavorare molto insieme al Consiglio. È il primo anello; poi il Governo generale con i Provinciali e Regionali; infine Governo generale e governo di circoscrizione con i superiori locali e con i formatori, che sono quelli chiamati a trasmettere la bellezza di un carisma. Cfr. VC: chi è il formatore? “La persona che sa trasmettere la bellezza di un carisma”. Solo così si può lavorare.

Oggi si sta chiedendo la “inter”: la collaborazione inter(provinciale, …)… Anche inter-istituti. La ssp non può considerarsi autoreferenziale: cominciando dalla FP! L’identità è sempre relazionale!

Il decalogo per accompagnare i fratelli in difficoltà: deve avere queste caratteristiche = l’accoglienza (= saper creare rapporto interpersonale autentico, dove l’altro si senta preso in considerazione: cfr. Papa), sentirsi preso in considerazione (che è sentirsi amati e tutti ne abbiamo bisogno); l’ascolto, che esige di centrarsi sull’altro, dando importanza a ciò che vive l’altro (magari è una stupidaggine, ma ne soffre); dimenticare il proprio ruolo (“io sono il superiore”), soprattutto all’inizio (tentazione di fare il maestro); l’empatia (capacità di comprendere ciò che l’altro vive e di comunicare ciò che si è capito), che comporta di mettersi nei panni dell’altro; considerazione positiva dell’altro (se consideriamo i difetti…); essere autentici (essere noi stessi, senza manipolare e senza lasciarsi manipolare dall’altro), il che comporta di essere trasparenti e liberi (se no si lascerà manipolare dal più forte); discernimento (qui comincia il vero essere del superiore: di fronte a un fratello in difficoltà), il confronto (porre il confratello di fronte alla situazione che sta vivendo) [il fratello non deve rimanere senza sapere cosa pensa il superiore]; deve sempre aprire orizzonti (offrire al confratello una porta d’uscita, non quella del cimitero ovviamente: non lasciarlo nella colpevolezza); essere presente e non delegare (delegare ad altri perché si ha difficoltà ad affrontare un confratello – salvo rari casi di rifiuto totale). Infine il superiore deve avere molto amore e molta fermezza: chi ama ha tutto il diritto di esigere, chi non ama non deve esigere nulla. E noi sappiamo perfettamente chi ci ama e chi non ci ama. Non si può fingere di amare.

La migliore definizione di un superiore: servire, amare, essere fermo.